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I TRIBUTI SPIEGATI AI LETTORI / Tari: ecco quando scatta il differente trattamento fiscale dei rifiuti urbani e speciali

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Questa settimana parliamo della Tassa sui rifiuti: ovvero peculiarità del principio di effettività della TARI e differente trattamento fiscale dei rifiuti urbani e speciali.

Tari: fattispecie di esenzione e riduzione dell’imposta

Fino al 31.12.2019 i Comuni erano liberi di decidere se assimilare i cosiddetti rifiuti speciali, che si formano nelle aree produttive delle utenze non domestiche, ai rifiuti urbani. A decorrere dall’1.01.2020, con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 160/2019, viene modificata la definizione di rifiuto urbano e, conseguentemente, viene definitivamente soppressa la categoria dei rifiuti speciali assimilati agli urbani e con essa la potestà regolamentare comunale di assimilazione per qualità e quantità. Oggi il nuovo assetto normativo è quindi fondato esclusivamente sulla bipartizione tra rifiuti “urbani” e rifiuti “speciali”.

Ciò premesso, al fine di meglio rappresentare le fattispecie di esenzione e/o riduzione del tributo di cui trattasi, va ricordato il principio fondante che caratterizza il titolo di soggetto passivo ai fini TARI, espresso attraverso il concetto del “chi inquina paga”, ossia quello di effettività della produzione. A tal proposito, il presupposto per l’applicazione della TARI è il possesso o la detenzione di locali od aree suscettibili di produrre rifiuti urbani.

Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani e che vengono conferiti al di fuori del servizio pubblico possono legittimare il contribuente (che attua detto smaltimento) a fruire di una riduzione. Se lo stesso dimostra di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto preposto all’attività di recupero dei rifiuti stessi, può fruire della riduzione della parte della quota variabile ai fini TARI, ossia verrà esclusa la corresponsione della componente tariffaria variabile rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti.

Le medesime utenze possono servirsi del gestore del servizio per un periodo non inferiore a cinque anni, salva la possibilità di riprendere l’erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale, dietro richiesta dell’utenza non domestica, da parte del servizio pubblico. Inoltre, la quota fissa incide in misura predeterminata, avendo la funzione di assicurare la copertura degli investimenti, laddove la quota variabile è invece determinata per ciascuna tipologia di utente in ragione della quantità dei rifiuti conferiti e al servizio fruito.

Tuttavia, permane l’obbligo del pagamento della quota fissa della tariffa, che non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata, per legge, alla copertura dei costi di investimento che il Comune sostiene, ai quali sono tenuti a partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio.

In altri termini, se un’utenza non domestica intende sottrarsi al pagamento dell’intera quota variabile, deve avviare al recupero i propri rifiuti urbani per almeno cinque anni, come stabilito dal comma 10 dell’art. 238 del D.Lgs. n. 152/2006. Contrariamente, se l’utenza non domestica conferisce lo smaltimento dei rifiuti prodotti al servizio pubblico, la stessa può usufruire di una riduzione della quota variabile del tributo, proporzionalmente alla quantità di rifiuti urbani che dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati.

A titolo esemplificativo, i magazzini di stoccaggio, sia quelli utilizzati per le materie prime e le scorte, sia quelli per i prodotti finiti, nonché le aree strettamente collegate funzionalmente all’attività imprenditoriale, devono essere considerati superfici strettamente connesse al ciclo produttivo, con riconoscimento di produzione di rifiuti di tipo solo industriale. Per tale ragione, in quanto aree strettamente e oggettivamente connesse alla produzione, sono soggetti al regime giuridico proprio dell’attività principale alla quale ineriscono, con la conseguenza che non possono essere inclusi nel concetto di rifiuti urbani.

Diversamente, con riferimento ad altre superfici e aree, quali spazi destinati a mense, uffici, servizi ad essi funzionalmente connessi dedicati allo svolgimento di attività “non industriali” che producono rifiuti che, per natura e tipologia, risultano oggettivamente analoghi ai rifiuti urbani, gli stessi devono rientrare a pieno titolo nella categoria dei “rifiuti urbani” con conseguente applicazione del correlato regime giuridico ed economico.

Ciò premesso, le attività industriali (ciò vale anche per le attività artigianali) che producono sia rifiuti urbani che rifiuti speciali, sono esentate dall’applicazione dei prelievi per la quota variabile, in relazione alle sole superfici dove avviene la lavorazione industriale. Sul punto è stato affermato dalla Giurisprudenza di legittimità che la lettura combinata delle varie norme porta a ritenere che comunque l’utenza sia tenuta al pagamento della quota fissa e che, partendo dal presupposto del tributo si può pervenire alla conclusione che le modifiche introdotte dal d.lgs. 116/2020 non comportano alcun esonero totale dal pagamento della TARI.

In ogni caso, sussistono dubbi in ordine alla superficie sulla quale applicare la quota fissa: per giurisprudenza costante va applicata su tutta la superficie aziendale, quindi anche su quella dove si producono i rifiuti speciali.

In conclusione, vale sempre la regola che le esenzioni e/o agevolazioni vanno a colpire sempre e soltanto la sola quota variabile e non anche quella fissa, che deve essere versata per intero.

Studio Clarizia

A CURA DELLO STUDIO LEGALE TRIBUTARIO CLARIZIA Via Raul Gardini n. 20 – Ravenna / www.studiotributariomc.it

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